Nerone
Nerone
project, realization Matteo Bambi, Luca Camilletti, Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco, Cristina Rizzo | with Leandro Bartoletti, Carla Bottiglieri, Floor Robert, Davide Savorani | production Kinkaleri, La Batie Festival de Geneve 2005, Festival Internazionale di Santarcangelo06 – 2006 | in collaboration with Cango Cantieri Goldonetta Firenze, Uovo performing Arts Festival Milano | subsidized by MiBACT – Dipartimento dello Spettacolo, Regione Toscana
In everyman’s life that terrible wonderful moment always arrives and creeps as a lightning
into somebody’s conscience and as a sacred pain into the unconscious of the most: the moment when one
finds out the ending of his own existence.
R.W. Fassbinder “Imitation of life”
A performance built into two separate and independent acts. The title: “Nerone” (“Big Black”) is just the invocation for the theatre, the game of impossible multiples among children, and for the sudden evocation of an Emperor name who played the lyre and acted. A commonplace for both acts: a black-walled room and a black floor made of different layers and, suspended up on the left, four ceiling fixtures for neon lights. For the first time Kinkaleri have interpreters to carry out the image: two men and two women. No possibility of thinking of anything else but the whole humanity involved in the awareness of death, of ending. Two pieces of writing, monologues, by Rainer Werner Fassbinder about despair, courage and utopia, are the answer, sweet and terrible, found within the desire of talking to a moment of the existence we face: alone.
The show was preceded by three studies: Quinze jours pour dé-neutraliser la Suisse, cette fois-ci sans l’intervention de la police, svp – 2005, Nero – 2005, Nero2 – 2006
Kinkaleri: Romolo, Remo e Nerone
di Cristina Ventrucci su Lo Straniero – Anno X Numero 77 Novembre 2006
[…] Sono figure attrezzate, accessoriate, pronte al combattimento, e poi subito nude, autodistruttive, vaganti in questa epoca ginnica (ed eco di quelle altrettanto spavalde che t’hanno preceduta). Sono cagne, sono divi, sono schiavi l’uno dell’altro, non sono un bel niente, o il rimbalzo di una palla. Ancora ci sorprende, sotto la luce morta dei neon, il contrasto tra il sudore del corpo e la viltà della gomma, o dei tessuti sintetici, costruzioni umane che sappiamo essere disperate e malsane resistenze al consumarsi, nel loro esser al tempo stesso emblemi del consumo globale.
Il lavoro è costruito in due parti, determinate entrambe da una presenza gemellare. Presenza che rende ambigua la figura, disorientante, ironica. […] Anche questa partitura scenica di Kinkaleri ha il sapore del metallo, il suo freddo risuonare, quella ilare capacità deformante nel riflettere ancora una volta la nostra sgraziata immagine. Sgraziata perché senza stato divino, perché di un’umanità in stato di resa, perché imprigionata in una mappa sfinente e labirintica.
La sfida che questo gruppo pone ripetutamente al teatro è quella di scrollarsi di dosso la pesantezza del pensiero e mostrare come sia il corpo a primeggiare e ad aver più cose da dire, qui con Artaud e Fassbinder. E con questo gesto partecipa alta forzatura delle definizioni di genere, strappo mai come ora necessario nel teatro.
Va infine osservato che Kinkaleri rimane forse l’unico nucleo artistico che, definitosi fin dal principio come “raggruppamento”, ha tenuto fede all’identità collettiva continuando tutt’oggi a omettere distinzioni di ruoli (tranne che nell’enunciare le presenze in scena) e probabilmente anche a scambiare internamente le funzioni, ed è proprio per questo che il loro teatro sembra esprimersi in prima persona amplificando il proprio grido di solitudine.
Nel cuore della performance
di Maria Luisa Buzzi su Danza & Danza – N. 193 Anno XXI – Sett/Ott 2006
SANTARCANGELO – […] Il gruppo fiorentino Kinkaleri, con la novità Nerone (un’oscurità al quadrato più che un imperatore!), fa ancora centro. Diviso in due parti, un duetto maschile come primo atto e un duetto femminile come secondo, Nerone ci parla della finitezza umana, della morte e delle nostre fragilità mettendo in scena l’essenza e il paradossale, il delirio e la banalità, come il collettivo di artisti ci ha abituati da qualche anno. Ma qui, per la prima volta, nessuno di loro è in scena, ‘sostituiti’ da quattro interpreti singolari: Leandro Bartoletti e Davide Savorani, allampanati giocatori di basket in divisa nera, pronti a morire travolti da una serie di domande assurde a cui il pubblico non può esimersi dal rispondere e Carla Bottiglieri con Floor Robert, danzatrici intense e letteralmente ‘messe a nudo’, trasformate in cani, pecore e cavalli, dal crudele gioco delle emozioni e del potere. Un buio esistenziale beffardo e impietoso. Bravi. […]
IMMAGINI E SUONI DI UN BUCO NERO
di Piersandra Di Matteo su Exibart – N. 84 Gennaio 2007
Quando l’occhio non si spinge più sulla superficie colorata delle cose. Fissarsi sul nero. In Nerone, il nuovo lavoro dei Kinkaleri, la scena inghiotte se stessa fino al suo centro. Nero…
[…] Formalizzato in due atti, Nerone, frutto degli studi Nero e Nero2, senza cadere in alcuna forma di facile autobiografismo, porta i Kinkaleri allo scoperto. Marco Mazzoni, Cristina Rizzo e Luca Camilletti si sottraggono alla scena e la scoprono abitata da due coppie di interpreti. Due ragazzi con la canotta della squadra di basket più in voga a due donne con i loro corpi nudi (esposti per la prima volta sulla scena del gruppo pratese). […] In alto, quattro plafoniere al neon. Quelle in scena sono presenze umane-animali che abbaiano, che gattonano come bestie, latrano, pronunciano parole quotidiane, si mostrano in atti di fustigazione auto-flagellante, ostentando uno spreco di gesti tradotti in un pathos drammatico estraneo ai Kinkaleri.
Sparisce il bagliore volutamente asettico di <OTTO> (2002), come le luci calde e affatto discrete di Cenci (2004). La dominanza del nero è schiacciante. Livella tutto, insonorizza ogni pensiero, acquista una consistenza tattile, svapora letteralmente i corpi nudi ridotti a fugace riverbera fluorescente (così inizia il secondo atto). Miraggi dell’umano in uno spazio in cui non c’è nulla de desiderare, […] Nerone arriva a proporsi come un teatro del disastro. Un dopo-la-morte della morte. Assistiamo a una “solitudine essenziale” come possibilità, da parte della scena, di porsi alle periferie del mondo e quasi alla fine del tempo per attingere una possibile visione della vita che si attua quale morte, ma solo a partire dalla realtà specifica del suo linguaggio. La cosa paradossale è, infatti, che questo buco nero, che sembra contenere tutti i segni formali e concettuali topici, finisce per annunciare una poetica di liquidazione e superamento dell’oggetto, così cara al gruppo. Basta guardare quei palloni neri disseminati sul linoleum opaco e nero, che scompaiono assorbiti dal pavimento, figurazione degli oggetti caduti, gettati, disseminati apparentemente a caso di tutti i vecchi lavori. Ma Nerone non è il negativo di <OTTO>, né il contraltare di Pool. E il luogo di un fallimento. […]