I Cenci/Spettacolo
I Cenci/Spettacolo
Progetto, realizzazione Kinkaleri / Matteo Bambi, Luca Camilletti, Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco, Cristina Rizzo |con Luca Camilletti, Marco Mazzoni, Cristina Rizzo | produzione KunstenFESTIVALdesArts, Rencontres Chorégraphiques Internationales de Seine-St-Denis, Santarcangelo dei Teatri, Kinkaleri – 2004 | in collaborazione con Teatro Studio di Scandicci, Xing | con il sostegno di MiBAC – Dipartimento dello Spettacolo, Regione Toscana
I Cenci/Spettacolo indaga l’opera di Antonin Artaud come fallimento di un intento nell’impossibilità di essere altro da sé: senza il possesso di sé. Più che un testo da tradurre sulla scena, uno sprofondamento dentro a un titolo che trascende se stesso per diventare cronaca teatrale e fatto biografico carico di considerazioni. Tolto il primo strato di epidermide, il nostro rapporto con la scena non riguarda il dato biografico, ma le condizioni culturali di accettazione del racconto che Artaud ha aperto. Non è necessaria una “fedeltà” ad Artaud, lasciamo da parte i metodi. L’unica cosa che resta è una tensione utopica esistenziale e filosofica che rende indivisibile il soggetto dalle sue manifestazioni, dalle sue esposizioni, che tratta la vita dunque non come evidenza della cronaca, del quotidiano, della spontaneità, ma come dissociazione di anima-animale e morte. L’esperienza del fallimento che Artaud sperimenta è legata al subire il giudizio da parte della critica e del pubblico. Esistere nella legittimazione altrui. Intollerabile condizione per chi nello squilibrio, nella dissociazione tra sé e sé, ha sempre vissuto non potendo fare altro. Saltano dei rapporti, con il pubblico prima di tutto, con chi decreta cioè la riuscita o meno di un’opera. Di cosa si parla? “I LOVE YOU”, “I NEED YOU”. Ok.
I Cenci/Spettacolo è stato preceduto da tre momenti performativi distinti, tre indagini specifiche sullo stesso soggetto.
Kinkaleri – I Cenci/Spettacolo, Santarcangelo dei teatri
Goffredo Fofi – LO STRANIERO – N. 52 ottobre 2004
Tre anni fa My love for you will never die, due anni fa Otto, e quest’anno l’ultimo sportello di un trittico, che prospetta una fine. Di cosa? […] Nel terzo è di scena il presente. Più nessuna distanza ma il qui e ora della nostra comune stupidità. La rappresentazione, già impossibile prima, è oggi grottescamente distrutta, nessuna impalcatura può arrivare a sorreggerla. Neanche il rigore o l’esattezza dei “tempi” contano più, con la bellezza triste che ne derivava. […] Kinkaleri può solo aggiungere maceria a maceria, accumulare stupidità su stupidità. Un nastro adesivo traccia in terra la scritta I Love You, consolatoria menzogna, ma ci pensano i Kinkateri a sconsolarci a colpi di televisione, di patriottismo, di retoriche, di lotte non tra uomini e uomini o tra uomini e animali ma tra uomini e pelli di animali, tra uomini e tappeti di un salotto televisivo dove i parla un assurdo americano, si mostrano i muscoli e si canta (Marco Mazzoni) We are the World. Questa è la Storia e questo è oggi l’Uomo, la sua Cultura. La scena si sfascia, tale e quale il mondo.
Passi furtivi sull’orlo dell’abisso
Marinella Guatterini, Il Sole 24 Ore – 28 Novembre 2004
[…]Ne I Cenci/Spettacolo […] presentato alla Bicocca Ansaldo, il gruppo più trendy e richiesto all’estero del teatrodanza italiano, – Kinkaleri (chincaglierie), nato a Firenze nel 1995 -, approda alla sua “pièce” di serata più riuscita. Ossia, alla costruzione di un fallimento teatrale, quale in effetti fu, nel 1935, l’omonima tragedia di Antonin Artaud con la quale però più nulla ha a che vedere. La scena dei nuovi Cenci vive infatti solo di negazioni: ci sono microfoni, sedie da camerino e poltrone da cinematografo; si odono voci e rumori dietro le quinte, da dove sbucano braccia e gambe inermi. E i tre interpreti non fanno che accumulare desolate prodezze da circo, alternando comicità (l’irresistibile birignao americanofono di Luca Camilletti) e tragicommedia (il karaoke sgangherato di We Are the World a cura di Marco Mazzoni) nel continuo rinvio (“torno subito”, “vado a fare una doccia”) di un quid teatrale che si manifesta ma solo sull’orlo dell’abisso: nei furtivi lacerti di danza rasoterra e di sapore hip-hop, della fascinosa Cristina Rizzo. Come il titolo, anche i possibili riferimenti all’abbacinante pensiero del padre del teatro del corpo, si risolvono in pretesti ironici (“I love you” dice al pubblico una scritta sul palco, poi cancellata). Siamo ad una propedeutica di Artaud, a una deriva elementare del teatro e del mondo, sprofondato nello sciocchezzaio, in cui però si sciolgono, con insolita generosità, almeno le rigidità dottrinali dei Kinkaleri in un rapporto più fragile, dolente e fisico persino con lo spazio dalle luci sempre declinanti, che attrae. […]
A CreaMI, la danza italiana
Maria Luisa Buzzi, Danza & Danza – gen/feb 2005
MILANO – […] Ecco che nello spazio vuoto, abitato da un microfono soltanto, vediamo camminare una coperta che successivamente cade, vediamo apparire da dietro le quinte pezzi di gambe che non arrivano a svelare chi le possieda, assistiamo alle prodezze di un uomo in equilibrio su dei bicchieri, seguiamo una grande scritta materializzarsi sul pavimento con il nastro adesivo. Leggiamo “I love you”, ma anche questa promessa d’amore è passeggera e verrà cancellata. E ancora di Artaud c’è qui il ricorso a radicare il teatro di esperienze primarie e l’attivazione dell’equazione arte/vita in opposizione all’idea di teatro come ‘rappresentazione’.[…]
Tra cubiste e karaoke la nostra tragedia quotidiana
Nico Garrone, La Repubblica – Teatro&Musica – 21 marzo 2005
QUISQUILIE, pinzillacchere: il tentativo di una passeggiata in equilibrio su una fila di bicchieri, un domatore che lotta con una pelle di leopardo, l’ululato di un lupo mannaro nel cerchio di un occhio di bue. Dei Cenci di Artaud nell’omonimo spettacolo dei Kinkaleri è rimasto solo il ricordo tramandato dalle cronache di una serata fallimentare. Artisti perplessi sotto la tenda di un circo, o di un desolato varietà. A differenza del precedente «Otto» dove a tener banco era il lungo silenzio iniziale, la scena deserta o disertata in fretta, le entrate e le cadute a gogo, la comicità impassibile di Keaton, in questo Cenci comunque lo spettacolo c’è, s’ha da fare. Anche a rischio di un lancio di uova marce dalla platea. Ecco allora srotolarsi eseguito con geniale strafottenza un campionario di «numeri» alla deriva della stupidità e del dilettantismo patinato di buoni sentimenti alla Nashville come nel karaoke di Marco Mazzone «We are the World», o nel birignao americano da imbonitore del discorso presidenziale di Luca Camilletti.
Cristina Rizzo in abiti sexy da cubista era l’unica ad accennare degli autentici passi di danza prima di andarsene lasciando il cartello «torno subito». Quest’amara barzelletta, questa amena tragedia in due battute è il nostro mondo in passerella.
progetto i Cenci: MOMAR UNI
Annalisa Monfreda, KULT – settembre 2003
[…] I Kinkaleri proseguono nel loro cammino di distruzione dell’allestimento scenico. E si cimentano in uno spettacolo senza testo e senza storia. senza progetto e senza sviluppo. Ne I Cenci sperimentano «la condizione di chi si trova di fronte a qualcosa e non sa cosa verrà dopo». Ogni studio al progetto finale porta come titolo una delle frasi che Artaud aveva scritto come postille in calce alla traduzione di un dialogo tra Alice e Humpty Dumpty di Lewis Carroll. Ed è proprio Artaud iI punto di riferimento del progetto, un maestro sempre presente, ma che per la prima volta diviene esplicito nel lavoro della compagnia vincitrice del Premio Ubu 2002. In Momar Uni, la prima tappa di avvicinamento, il nulla della rappresentazione si sente tutto. In una stanza vuota, riempita dagli spettatori un ragazzo balla musica techno. Poi si asciuga il sudore ed esce. Il pubblico è lasciato solo per pochi minuti, durante quali il volto stranito di ciascuno diviene spettacolo per gli altri. Poi il ragazzo torna nella stanza e intona una Canzone. Si può odiare questo teatro, Io si può definire geniale, o assurdo… e forse queste reazioni sono il vero contenuto della rappresentazione.