OTTO
<OTTO>
Progetto e realizzazione Kinkaleri/Matteo Bambi, Luca Camilletti, Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco, Cristina Rizzo | con Filippo Baglioni, Chiara Bertuccelli, Andrea Sassoli | produzione Kinkaleri/KLm | in collaborazione con Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Teatro Metastasio/ContemporaneaFestival, spazioK.Kinkaleri | con il sostegno di Regione Toscana, MiBACT – Dipartimento dello Spettacolo
<OTTO>ha vinto il premio UBU prima del suo debutto nel 2002. Forse non tutti lo sanno, ma l’anno in cui gli fu assegnato il premio, Kinkaleri era in giro con gli studi del lavoro, sperimentando di volta in volta nuovi materiali di scena che venivano assemblati come in un montaggio cinematografico, sequenza dopo sequenza. Il debutto è avvenuto il 16 gennaio 2003. Dopo 15 anni Kinkaleri ha ripreso e rimesso in scena un lavoro nella necessità di capire cosa ci fosse ancora di vero in uno spettacolo che navigava nel vuoto, facendo del crollo l’emblema di una nuova era. <OTTO> non ritorna come ogni repertorio che abbia un motivo per resistere al tempo, <OTTO> è qui per domandare ancora. Una persona entra in scena e cade. Più precisamente non entra per cadere, ma cade perché entra. Una caduta che potrebbe essere l’unica, in assoluto, che contiene tutto lo spettacolo, alla quale seguono altre cadute, che possono essere considerate delle note a piè di pagina, evoluzioni di quella prima archetipica caduta. Una caduta che a distanza di anni tenta di rapportarsi con una nuova generazione per capire se il crollo che era stato individuato in quei primi anni duemila è ancora in divenire, se siamo nella polvere, oppure se ci troviamo già in un iceberg staccato che si muove verso altre direzioni.
<OTTO>
2003/2018 | Kinkaleriselezione rassegna stampa online
SPECIALE <SUPER OTTO>_introduzionea cura diAltre Velocità
https://www.altrevelocita.it/speciale-super-otto/
Ci pare che di Kinkaleri sia un classico dei nostri anni. Alcuni lavori, ce ne si accorge sempre qualche tempo dopo, hanno la facoltà di vedere tra le righe di un particolare momento storico e di restituirne frammenti di senso come a volte non riescono a fare libri di storia o sociologia. Erano crollate da due anni le torri gemelle, e in tutti cadevano, preconizzando al contempo il destino gassoso e precario del decennio scorso.
DOBBIAMO CADERE. <OTTO> DI KINKALERI_dallo speciale <SUPEROTTO>
di Lorenzo Donati su Altre Velocità
https://www.altrevelocita.it/dobbiamo-cadere-otto-kinkaleri/
<OTTO>è tornato in scena con nuovi interpreti al Pecci di Prato, e anche oggi è uno spettacolo che ci guarda dritto negli occhi. Ci sfida a pensarci “interi” in una marea di frammenti. Ci spintona per svegliarci, cullati come siamo in un disincanto di contraffazioni. le contraffazioni se le prende tutte in mano e le usa senza subirle. Le sua per costruire la lingua del presente, l’unica possibile, quella che non finge […] .Tutto è così finto da sembrare vero, e viceversa, in un loop vertiginoso. Così è la lingua del nostro mondo teatrale, così il discorso mediatico pubblico, sono contraffatte le relazioni, è contraffatto il divertimento. Ed è qui che diventa forse ancora tutto possibile, perché mentre si cade si continuano a formulare ipotesi temporanee, anche di comunità. Non c’è nessun nichilismo e il disincanto si tramuta in busso la per orientarsi in mezzo a immagini rivelatrici delle nostre afasie, qui si cade ma tutto è ancora possibile se ci troviamo commossi con i Radiohead, amplificati dalle cuffie del walkman sistemate su un microfono: «You broke another mirror, You’re turninginto something you are not…».
DI KINKALERI, 15 ANNI DOPO_
dallo speciale <SUPER OTTO> audiointervista a cura di Rodolfo Sacchettini su Altre Velocità
https://www.altrevelocita.it/otto-kinkaleri-15-anni-dopo/
CONTINUANDO A CROLLARE (E SE DAVVERO NON CI RESTASSE CHE L’APOCALISSE’?)
dallo speciale <SUPER OTTO> di Giuseppe Di Lorenzo su Altre Velocità
https://www.altrevelocita.it/continuando-a-crollare/
[…] Vi propongo un’ultima suggestione. Frammenti di una deflagrazione nucleare: le azioni in scena si potrebbero anche interpretare così, istantanee in successione che mostrano azioni quotidiane poco prima e poco dopo lo scoppio di una bomba. Questa bomba a orologeria in realtà per Kinkaleri è già esplosa, e la sua forza inerziale continua a spingere, una a una, le tessere di questo domino occidentale.
OTTO DI KINKALERI. L’ESTASI DELLA CADUTA
di Lucia Medriin Teatro e Critica
https://www.teatroecritica.net/2019/06/otto-di-kinkaleri-lestasi-della-caduta/
[…] Se agli albori del 2000 lo slancio del nuovo millennio dovette arrestarsi in virtù di un terrore imprevedibile, ora quello stesso terrore è diventato consuetudine, modus vivendi che non anticipa più la caduta perché già cade, fatalmente. Sul crinale di una linea tirata e tracciata a terra con lo scotch da pacchi si disegna una scena del crimine: un vuoto a rendere e corruttibile dai corpi di Filippo Baglioni, Chiara Bertuccelli, Andrea Sassoli e Mirco Orciatici, dagli oggetti, dalla musica e da un’addizione continua di segni metalinguistici che concorrono a sobillare l’attenzione dei fruitori.[…] Bruce Nauman potrebbe da un momento all’altro atterrare nello spazio di Kinkaleri e manipolare gli oggetti secondo il loro grado di performatività, muovendosi come fosse un serial killer concettuale, mietendo “caduti” che saranno contrassegnati da lettere, le stesse utilizzate dalla scientifica sul luogo del delitto […].[…] I rimandi colti dal pubblico, le ellissi di significato, le similitudini concorrono tutte a legittimare quell’immaginario riconoscibile e a creare un ipertesto coreografico. Su di esso viene poi costruita gradualmente l’installazione che alla fine di ciascuno spettacolo potrà essere fruita dagli spettatori, immobile, ricolma di elementi osservabili nella loro stasi conclusiva.[…] è estasi: irriverente, curiosa, destabilizzante e commovente; è guardare alle macerie del crollo con la ferma accettazione di un sorriso sulle labbra: «Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice».
IL RITORNO DI KINKALERI. AL CENTRO PECCI DI PRATO
di Stefano Tomassini su Artribune
https://www.artribune.com/arti-performative/teatro-danza/2018/11/kinkaleri-centro-pecci-prato/
In un Paese normale questo ritorno sarebbe celebrato fra gli eventi di danza più importanti dell’anno. In un Paese normale ritroveremmo di frequente, all’interno della programmazione dei nostri teatri, il lavoro immaginifico e rigoroso di Kinkaleri.In un Paese normale l’ignoranza per la performance non verrebbe mascherata, da troppo compiaciuti e superstiziosi programmatori, con il richiamo alla dittatura degli abbonamenti. Il coraggio, in fondo, è anche un po’ la misura della propria competenza. Il rischio, invece, della propria lungimiranza. […] Dunque mantiene, pur nella celebrazione del suo ritorno, uno sguardo politico sul corpo. Non trasgredisce ma costruisce, già oltre la caduta. L’inciampo è una forma della verità che si mostra attraverso l’errore, e in tutta la sua fragilità. È un tempo sospeso e di resistenza, di disinnesco riflessivo e non di resa allalegge di gravità.[…] … con questa coraggiosa operazione di ritorno sul repertorio, di rivendicazione di una storia che è già nel futuro, di un evento ancora stracarico e straricco di idee e pensate, in fondo ci ammoniscono che non basta esibire un logo,vendere un marchio o sigillare una rete, per legittimare grandi ambizioni quando le idee partorite restano poi piccoline.
“OTTO” DEI KINKALERI: QUEL TREMORE CHE CI RENDE UMANI
di Matteo Brighenti su PAC Paneacquaculture
http://www.paneacquaculture.net/2018/10/29/otto-dei-kinkaleri-quel-tremore-che-ci-rende-umani/
[…] La domanda che muove pare quindi trovare una risposta. E invece, la conclusione non chiude affatto la performance, tra le più entusiasmanti viste quest’anno. Anzi, ne illumina la natura di classico che, per citare Italo Calvino, «non ha mai finito di dire quel che ha da dire». Filippo Baglioni, Chiara Bertuccelli, Andrea Sassoli, Mirco Orciatici, non entrano per cadere, cadono perché entrano. La questione nodale, allora, è il motivo per cui, nonostante tutto, continuiamo lo stesso ad andare, a provarci, per il tempo di un respiro che ci riempie i polmoni. Realizziamo l’impossibile, ma soltanto per pochi attimi, e con grande sforzo. La creazione, in definitiva, è un dialogo danzato su cosa ci fa umani davanti a oggetti comuni. Per l’occasione, continua ben oltre la sua durata: ciò che rimane sulla scena diventa un’installazione all’interno
della mostra Il Museo Immaginato. Storie di trent’anni di Centro Pecci a cura di Cristiana Perrella. Vie di fuga da attraversare, ricostruire, immaginare.
OTTO DI KINKALERI. NON ASSOMIGLIA A NIENTE
di Michele Pascarella su Gagarin Magazine
https://www.gagarin-magazine.it/2018/11/visto-da-noi/otto-di-kinkaleri-non-assomiglia-a-niente/
[…] Lo stratificato dispositivo di presenta inoltre (ma ben più numerose sono le chiavi di lettura possibili per questo “classico contemporaneo” che certo avrà fortuna in questa nuova vita come ne ha avuta alla prima nascita) uno dei topos di Kinkaleri: l’interrogazione alle convenzioni della lingua, della scena e non solo, con l’accumulo di entrate comiche che in realtà è sovrapposizione di segni che interrogano e annullano sé stessi (esemplare, in tal senso il cliché comico della “torta in faccia”, qui con il performer che la sbatte in faccia asé stesso). , sistema ritmico autonomo, generatore di tracce e domande, dopo quindici anni continua a vibrare. A proporre un modo di intendere il fatto scenico e le sue molte componenti mai, mai, mai esperito prima. non assomiglia a niente. Chapeau.
DANZARE AL TEMPO DEL CROLLO. : DANZARE NEL VUOTO CADERE CADERE ANCORA
di Massimo Marino su Doppiozero
https://www.doppiozero.com/materiali/danzare-al-tempo-del-crollo
[…] Si legge: “Dopo 15 anni riprendiamo e riportiamo in scena un lavoro nella necessità di capire quanto ci sia ancora di vero in uno spettacolo che navigava nel vuoto, facendo del crollo l’emblema di una nuova era”. Aggiungerei del crollo e della riproduzione: tutto era serializzato, dalla musica rubata a un diffusore attraverso le cuffiette, poi “dimenticate” sul microfono e amplificate, alle cadute, agli oggetti di scena emblemi del mondo più pop, agli albori di un nuovo oscuro millennio ormai svuotati, nella loro inflazione, di investimenti simbolici.A rivederlo oggi, questo spettacolo sembra una lezione di anatomia sotto fredde luci su un passato prossimo che non passa e trascolora in inquietante presente, con meno divertimento e più “lentezze”: ma i ritmi sembrano gli stessi dell’originale, cambia l’occhio e la coscienza di chi guarda. Di crolli il nostro sguardo è ormai pieno e questo crudele rito di perdita e smarrimento parla anche alla nostra coscienza postuma di consunzione degli stessi sfregi ai linguaggi, causata negli anni dalla ripetizione di modalità espressive. Il “contemporaneo”, grazie alle affilate trame iterative di , dimostra tutta la sua capacità di consumarsi, di ripetersi, di correre continuamente il rischio di precipitare negli stessi buchi neri che scoperchia. Eppure lo spettacolo, per accumulazioni, ancora diventa irresistibile e conquista, con la forza della ricerca che, giocando con i linguaggi, sfregiandoli, diventa per sapienza ritmica e compositiva narrazione seducente